Il sindaco disattento risponde della causazione dolosa del fallimento

Anche condotte apparentemente lecite e consentite, nonché regolamentate dall'ordinamento – come la scissione di una società – possono integrare il reato di bancarotta per distrazione, quando l'operazione di scissione si risolva nel conferimento a favore di altra società di beni di rilevante valore e si riveli volutamente depauperatoria del patrimonio aziendale e pregiudizievole per creditori, non essendo le tutele previste dagli artt. 2506 e seg. cod. civ. di per sé idonee ad escludere ogni danno o pericolo per le ragioni creditorie

 

IL FATTO 

 

I dirigenti di una società a responsabilità limitata venivano condannati dal Tribunale di Milano – condanna poi confermata in appello - per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale per avere distratto il complesso dei beni aziendali attraverso vendite in blocco, o altri negozi simulati, ad un altro persona giuridica ed in particolare una new.co. da loro stessi costituita, senza alcun corrispettivo e con corrispondente depauperamento del patrimonio sociale, per un importo di C 875.472,00, e per aver tenuto le scritture contabili in modo da non consentire la ricostruzione del patrimonio e degli affari. Venivano, invece, assolti dal reato contestato concernente il cagionamento del fallimento della società per effetto di operazioni dolose, consistite nella costituzione della predetta new.co. in cui far confluire gli asset patrimoniali e i rapporti economici attivi, al fine di proseguire le attività sociali facenti capo alla prima società poi fallita.

In sede di cassazione la difesa degli imputati sostenendo in primo luogo che le cause del fallimento della società asseritamente depauperata non andavano individuate nella costituzione della new.co., ma nel diffondersi dell'(infondata) voce secondo cui la società fallita era contigua ad ambienti mafiosi e ciò determinò il venir meno di quasi tutti i contratti di appalto e la società, che aveva circa 50 dipendenti e fatturava 12 milioni di euro, venne estromessa dal mercato; in questo quadro cercare di salvare ciò che di buono c'era nella società, trasferendo i lavoratori e provvedendo al pagamento del TFR, non poteva essere ritenuta una scelta distrattiva, anche sotto il profilo dell'elemento soggettivo. Quanto al mancato pagamento dei canoni di locazione e dei beni confluiti nella new.co., lo stesso stato determinato dalle vicende economiche di questa nuova società e non da l'intento di acquistare a "costo zero" i macchinari ed i beni della società fallita, come dimostrato dalla stima del valore dei macchinari acquistati effettuata dalla new.co. e che, diversamente da quanto avrebbe potuto desumersi da una stima al ribasso, costituisce un riscontro della volontà di proseguire nell'attività con la nuova società e nel frattempo corrispondere il dovuto alla fallita.

Relativamente alla bancarotta documentale si lamenta che la sentenza non abbia motivato sul punto pur avendo il curatore evidenziato l'assoluta congruità dal punto di vista formale delle scritture contabili della società fallita.

 

LA DECISIONE

 

La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso.

In primo luogo, viene evidenziato come la correttezza delle conclusioni circa l'avvenuta distrazione dei beni aziendali della società fallita in favore della new.co. ed i relativi artifici contabili non risulta in alcun modo influenzata dalla circostanza che la causa del fallimento sia stata individuata nel diffondersi di sospetti di infiltrazione mafiosa della società, con il conseguente recesso di quasi tutte le stazioni appaltanti dai contratti di appalto stipulati dalla fallita.

Nei fatti oggetto del procedimento infatti si rinviene il frequente fenomeno societario della 'scissione' di una società in crisi, che, allo scopo di superare lo stato di difficoltà in cui versa l'impresa, separa le passività (il c.d. badwill), lasciato nella c.d. bad company, dalle attività (il c.d. goodwill), che vengono trasferite alla società di nuova costituzione, la c.d. new company. Sebbene in dottrina sia stato osservato che le fattispecie incriminatrici che astrattamente possono venire in rilievo ai fini della qualificazione sono tre (la bancarotta fraudolenta impropria per distrazione, la bancarotta fraudolenta impropria da reato societario, in riferimento all'art. 2629 cod. civ., che punisce le scissioni contra legem, e la bancarotta per effetto di operazioni dolose), la giurisprudenza di regola ritiene che integra il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione la scissione di società, successivamente dichiarata fallita, mediante conferimento dei beni costituenti l'attivo alla società beneficiaria, qualora tale operazione, sulla base di una valutazione in concreto che tenga conto della effettiva situazione debitoria in cui operava l'impresa al momento della scissione, si riveli volutamente depauperativa del patrimonio aziendale e pregiudizievole per i creditori nella prospettiva della procedura concorsuale (Cass. Pen., sez. V, 21 gennaio 2015, n. 13522; Cass. Pen., sez. V, 13 giugno 2014. n. 42272).

È bene precisare che la Cassazione non giunge certo a "criminalizzare", in quanto tale, la scelta di scindere la società mediante costituzione di nuova persona giuridica (Cass. Pen., sez. V, 18 gennaio 2013, n. 10201). Tuttavia, tale operazione di conferimento di tutti gli elementi attivi alla società beneficiaria ha natura distrattiva qualora detta operazione sulla base di una valutazione in concreto, avuto riguardo alla situazione di dissesto dell'originaria società al momento della scissione, si riveli avulsa dalle finalità dell'impresa fallita, volutamente depauperativa del patrimonio aziendale e pregiudizievole per i creditori nella prospettiva della procedura concorsuale, non essendo in tal caso le tutele previste dagli artt. 2506 e seg. cod. civ. di per sé idonee ad escludere il danno o il pericolo per le ragioni creditorie (Cass. Pen., sez. V, 8 ottobre 2014, n. 6404).

In sostanza, per comprendere se dietro scelte aziendali di questo tipo si annidi un fatto di bancarotta fraudolenta patrimoniale occorre verificare se tali manovre assumano i connotati dell'operazione distrattiva per l'assenza di un concreto vantaggio economico e per l'impossibilità di continuare l'attività di impresa (Cass. Pen., sez. V, 28 novembre 2013, n. 15715). Infatti, anche un'operazione astrattamente riconducibile ad una categoria di atti gestionali leciti e disciplinati dall'ordinamento può essere, per le modalità con le quali è stata realizzata, produttiva di effetti immediatamente e volutamente depauperativi del patrimonio ed in prospettiva pregiudizievole per i creditori laddove si addivenga ad una procedura concorsuale (in proposito la sentenza richiama a titolo esemplificativo l'affitto di azienda, in determinate condizioni, avente ad oggetto l'intero complesso aziendale della fallita, in modo da privare quest'ultima della concreta possibilità di proseguire nella propria attività. Con particolare riferimento alla scissione, le tutele normative accordate ai creditori risultano inidonee ad escludere interamente il danno, o quanto meno il pericolo, per le ragioni dei creditori, in quanto, se è vero che ad essi è riconosciuto il diritto di rivalersi sui beni conferiti alle società beneficiarie, che rimangono obbligate per i relativi debiti, è vero altresì che un pregiudizio per gli stessi è comunque ravvisabile nella necessità di ricercare detti beni e che, soprattutto, all'esito di tale ricerca i creditori potranno trovarsi nella condizione di dover concorrere con i portatori di crediti nel frattempo maturatisi nei confronti delle società beneficiarie, con la concreta possibilità che tanto riduca le possibilità di un effettivo soddisfacimento delle loro pretese (Cass. Pen., sez. V, 10 aprile 2015, n. 20370).

Ciò posto, e ricostruita in questi termini la possibilità di attribuire ad una condotta apparentemente lecita e consentita, nonché regolamentata, dall'ordinamento – quale appunto la scissione di una società – una rilevanza penale, la Cassazione richiede tuttavia ai giudici di merito un unico approfondimento avente ad oggetto la valutazione, in concreto, dell'effettiva situazione debitoria in cui versava la società poi fallita al momento della scissione, giacché in assentza di tale situazione di insolvenza non potrebbe attribuirsi ad uno schema civilisticamente lecito (come la scissione) la finalità di realizzare uno scopo penalmente illecito.

Sulla scorta di tali considerazioni generali, essendo emerso in sede istruttoria che nella vicenda vi era stata l'attribuzione alla società beneficiaria di tutti gli elementi attivi della società scissa, che restava priva di mezzi e di dipendenti, rimanendo gravata dell'intero passivo fino a quel momento dalla stessa accumulato, e così assumendo la sostanziale natura di quella che viene definita come una bad company, era corretto sostenere che si era in presenza di una condotta di bancarotta fraudolenta per distrazione sul rilievo che i beni ceduti alla new.co ed i canoni previsti dal contratto di fitto di ramo d'azienda, a prescindere dalle finalità perseguite, non furono mai pagati, se non in minima parte.

Infatti, successivamente alla manifestazione dei segni di crisi finanziaria, la società poi fallita stipulò con la new.co, di fatto amministrata dai medesimi imputati, un contratto di affitto di ramo di azienda della durata di 5 anni, che prevedeva l'acquisizione di maestranze, macchinari ed alcuni contratti di appalto per un corrispettivo annuo di €. 60.000,00 e successivamente vennero ceduti ulteriori beni, per un importo complessivo di €. 875.472,00, senza considerazione del reale valore degli stessi, ridotto a circa €. 500.000,00 in ragione dell'obsolescenza. Tali cessioni vennero perfezionate senza alcun termine per i pagamenti, senza individuazione delle modalità di pagamento, e senza prestazione di garanzie da parte della società di nuova costituzione, che, dopo circa tre mesi, venne messa in liquidazione: queste condotte hanno comportato un distacco di beni e di attività senza adeguata contropartita, con conseguente compromissione dell'integrità del patrimonio sociale della fallita e della garanzia dei creditori, indici inequivocabili della natura distrattiva dell'operazione – come dimostrato dal fatto che l'assegnazione alla società beneficiaria della totalità dell'attivo della società poi fallita poneva quest'ultima nell'impossibilità di continuare ad operare e di pagare i debiti interamente rimasti a carico della stessa, senza che alcun vantaggio fosse individuabile per la stessa come risultato della scissione.

Sotto il profilo dell'elemento soggettivo, infine, la Cassazione chiarisce che la finalità perseguita dall'imprenditore di consentire, mediante trasferimento dei beni e delle attività ad una nuova società, la prosecuzione delle attività imprenditoriali della società poi fallita non sarebbe, di per sé, elemento in grado di escludere la coscienza e volontà del fatto), trattandosi del mero movente dell'azione, della causa psichica della condotta umana, dello stimolo che ha indotto l'autore ad agire, facendo scattare la volontà. In proposito, è pacifico che il movente dell'azione, pur potendo contribuire all'accertamento del dolo, costituendo una potenziale circostanza inferenziale, non coincide con la coscienza e volontà del fatto, della quale può rappresentare, invece, il presupposto; viceversa, l'elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell'impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte (Cass. Pen., sez. unite, 31 marzo 2016, n. 22474).

Con riferimento alla bancarotta fraudolenta documentale, la Cassazione evidenzia come le sentenze di merito avessero sottolineato l'esistenza di una serie di "irregolarità, dal punto di vista sostanziale, nella tenuta della contabilità", integrate dalla registrazione di operazioni di "compensazioni", "rimesse dirette per cassa" ed "effetti attivi" in relazione a crediti che la nex.co. avrebbe assunto in seguito al pagamento di debiti della società fallita nei confronti di creditori chirografari, rapporti contabili tra le due società che, tuttavia, non risultavano documentati e riscontrati, né erano suscettibili di ricostruzione, in assenza di informazioni extracontabili. Stante il fatto che tali "aggiustamenti contabili" erano senz'altro diretti ad indurre i creditori a ritenere che l'impresa fallita non vantasse più crediti ingenti nei confronti della new.co., deve ritenersi che la tenuta della contabilità sia stata connotata da un intento fraudolento, la cui presenza esclude possa parlarsi di mera bancarotta semplice.

 

di Santoriello Ciro